La parola "madre" - Recensione

da Krapp's Last Post TEATRO TRA LE NUVOLE www.klpteatro.it
Visto a Andria (BA), Chiostro di San Francesco, il 19 luglio 2008


È tutto un gioco sul tradimento, dalle sfumature grigie e bordeaux. La parola ‘madre' portata in scena dai napoletani Teatro di Legno va oltre il testo di Alberto Savinio Emma B. vedova Giocasta, da cui trae ispirazione, per ricostruirne nuove ipotesi e tonalità. La lunga notte d’attesa di Emma, lontana dal figlio da ormai quindici anni, rappresenta l’intera esistenza – malata, solitaria, allucinata e immaginifica – di una protagonista che i registi Luigi Imperato e Silvana Pirone rappresentano una e trina. Perché la forza di una madre e la sua follia, talvolta, possono amplificarsi all’infinito. A sottolineare un andamento in cui regna la confusione tra chi è chi, la scelta di trasformare Emma in uomini travestiti da donne: un richiamo alla femminilità negata e al desiderio di svelare ciò che sta sotto quelle vesti pesanti dalle forme castigate, che rimandano indirettamente ad un altro personaggio, anch’esso inchiodato alla propria soffocante vita e con cui condividere un nome: la peccaminosa Emma Bovary di Flaubert. L’adulterio, qui, viene però sostituito da un’ipotesi ben peggiore: un gesto incestuoso commesso proprio sull’amato figlio. Ma l’ambiguità rimane il gioco di fondo, che fa oscillare il dubbio della colpa in una mente confusa, ormai incapace di distinguere l’onirico dal reale.
La forza dell’allestimento di Teatro di Legno sta nell’attenta cura dei particolari, nella creazione di una cornice simbolica coerente e mai lasciata al caso, e nella scelta di puntare sulle emozioni dolce-amare che si alternano in palcoscenico. Elementi ancor più apprezzabili se contemplati nell'ottica del debutto assoluto dello spettacolo. Dai colori che sottolineano passione e decadenza, a musiche e scenografia, la compagnia riesce a dare la giusta cornice ad una vicenda che mai uscirà da quelle quattro pareti di vita, in cui il passato lotta tra l’essere rimosso e il perdono.
Danilo Agutoli, Fedele Canonico e Domenico Santo, le tre Emma, riescono a farci preferire di gran lunga questa scelta drammaturgica polifonica al monologo con cui altri si sono già confrontati. Il testo a tre voci ne guadagna in ritmo e freschezza, riuscendo ad esaltare le incongruenze insite in ogni essere umano. Emma si veste, si sveste, aspetta, ripensa, tutto in un continuo, inarrestabile movimento: nei gesti, nelle parole, nei pensieri... Perché fermarsi vorrebbe dire perdersi, o forse morire. Ma il suo è anche un armonico e totale flusso alla ricerca di un’identità: più rassicurante e facile da sviscerare nell’attesa di un figlio che, come il Godot beckettiano, probabilmente non arriverà mai.

Daniela Arcudi

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