Non merita lamenti - foto e parole

"Come può un soggetto apparentemente semplice, forse addirittura banale, diventare l’occasione per mettere in scena una piccolo gioiello teatrale? […] Siamo in una Napoli in cui condizioni disagiate e scarso livello culturale sono le cause principali di un degrado non solo materiale ma anche, e soprattutto, dell’animo. Tutto è scuro sulla scena, così come scuri sono i volti e i cuori dei protagonisti: sono tre, un padre, una madre e la loro unica figlia. Rapidi barlumi di speranza, di voglia di migliorare, affiorano timidamente nel solo sguardo di quest’ultima, la giovane figlia di Pasqualina; scompaiono presto, inghiottiti dalla vita vissuta, che di speranzoso ha ben poco. Molte delle emozioni che si percepiscono durante lo spettacolo sono affidate allo sguardo di Annamaria Palomba, straordinaria interprete, ottimamente calata nel ruolo di Pasqualina. La donna si presenta sulla scena narrando i fatti della sua misera vita, con voce ferma, quasi monotona; i movimenti calmi nascondono, però, una rabbia incontenibile, giustificabile solo alla luce della comprensione del suo vissuto. L’interpretazione del ruolo di Pasqualina è l’occasione per l’attrice di mostrare al meglio una espressività che traspare con rara naturalezza già dallo sguardo, dalla mimica del volto. […] La regia ha contribuito alla ottima riuscita di questo lavoro con la creazione di uno spazio scenico essenziale, in grado di fare da sfondo alla lotta ideale tra calma e rabbia, tra umanità e ignominia. Il lavoro è bello proprio per la sua essenzialità, per la sua semplicità. È un viaggio nell’animo umano e dell’animo umano mette in luce tutte le ombre più recondite.”

Fabio Dell'Aversana per teatro.org


“Sono tre figure distinte più che diverse una dall’altra: la madre Pasqualina (Annamaria Palomba), statuaria ma non ieratica, impietosa e compassionevole allo stesso tempo; la figlia Carmela (Ilaria Cecere) di una bellezza mutilata, senza più redenzione; e in mezzo, quasi come un cuneo, il padre (Fedele Conanico), supponente e spietato nell’umiliare le “sue” donne, ma intimamente debole. Tutti loro si affannano nel microscopico universo racchiuso sulla scena, e che sembra vivere di iterazioni: gli schiocchi della frusta del padre, la violenza delle assi e dei tavoli ribaltati, le parole dure come pietre della madre, la simulazione degli atti sessuali subiti dalla figlia. Una coazione al male che riesce in parte a sbriciolare la barriera della quarta parete, imponendo agli spettatori una più sofferta, viscerale partecipazione.”

Clemente Tecchia per Caserta Musica e Arte


“Tra silenzi, grida, e scene di concerto le tre anime dannate vagano escludendosi e assorbendosi, trafitte da un sostrato comune di rapporti di dipendenza; si finisce per crepare a terra sotto i colpi di una mano o del sesso, si finisce a sbattersi sotto un velo che avvilisce i profili trasformando il volto di una Maddalena in Vergine affranta. Per chi osserva seduto in panca trattenere l’emozione, al pari dell’indignazione, è impresa difficile, così come complesso risulta infrangere il vettore dell’attenzione. La scenografia crea un contesto intimo in senso trasversale, proprio dove l’intimità non ha più pareti di tutela. Come struttura mobile, una casa-cabina squassa il silenzio con i suoi scoppi di tavole di legno e diviene zona d’esclusione di sguardi, una volta chiusa, definitivamente, con innumerevoli mandate in fine di dramma.”

Christian Iorio per Arteatro

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