La nave dei folli

Regia e drammaturgia: Luigi Imperato e Silvana Pirone
Con: Annamaria Palomba, Silvana Pirone, Domenico Santo, Salvatore Veneruso
Costumi e scene: Luigi Imperato e Silvana Pirone
Foto di scena: Rosario Dovere e Santiago Faraone Mennella
Disegno Luci: Paco Summonte

“… è la Nave dei folli, strano battello ubriaco che fila lungo i fiumi della Renania e i fiumi fiamminghi... Si può credere che, in certe città importanti, luoghi di transito e di mercati, i folli fossero condotti dai mercanti e dai marinai in numero molto considerevole e quivi abbandonati, purificando così della loro presenza la città di cui erano originari. È forse accaduto che questi luoghi di “contro-pellegrinaggio” si confondessero con quelli dove al contrario gli insensati erano condotti come pellegrini. Si riunivano così la preoccupazione di guarire e quella di escludere; si rinchiudeva nello spazio sacro del miracolo…”
                Michel Foucault, Storia della follia nell’età classica.



Personaggi grotteschi segnati dalla follia. Sono vittime dell’emarginazione, prigionieri del viaggio, immobili sulla soglia dell’esilio. Vengono condotti al loro destino con l’inganno: imbarcati con l’illusione di un pellegrinaggio salvifico.

Note di regia

La nave dei folli accoglie corpi-relitti, storie di oltraggi, di umanità ripudiata. Anime sopravvissute a se stesse, personaggi senza più nome in un ambiente senza più nome: brandelli di esistenze appartenute forse ad alcuni ma ormai rifiutate, come si rifiutano oggetti vecchi in cui non ci si riconosce più e che denunciano una parte di sé. Quella parte che è comodo non mostrare e soprattutto non guardare.

I nostri folli aspirano ad aggirarsi nelle nostre menti e sotto la nostra pelle, godono a metterci di fronte ad un dubbio, uno specchio distorto che ci fa domande e che non sa dare risposte. Loro stessi vivono nel continuo dubbio della realtà che li esula a volte esitanti nel credere a se stessi: si sorprendono a fingere, a recitare ruoli o a sentirsene doppi involontari. Sono soli eppure uniti dalla comune solitudine, si tengono per mano, si abbracciano in un amplesso di male comune, ma si fanno anche la guerra, si odiano, si amano e sperano. Sono uomini.

La nostra attenzione non è concentrata sulla follia come stato psichico, ma sulla ritualizzazione scenica dell’esilio che si trasforma lentamente nel rito del ricordo e della disperazione.

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